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Quanto è difficile parlare di dolore, del proprio dolore, quando nasce dalla perdita di qualcuno di caro? Magari un familiare?
E quanto può essere difficile parlare del proprio dolore, o anche persino prenderne atto, quando a morire è un figlio? E quando muore di sua stessa mano, quanto può essere totalizzante quel dolore?
In Un lutto insolito, terzo romanzo della scrittrice multietnica Yewande Omotoso edito da 66thand2nd e selezionato per la Box 14 di Romanzi.it, si può dire che la protagonista, Mojisola, sia un’esperta del dolore. Scopriamo infatti nel corso della narrazione che Moji ha sempre avuto un rapporto difficile con la madre, colmo di silenzi e cose non dette, che ha imparato già da bambina a mordersi la lingua e accettare che le cose seguano il loro corso, senza che la sua opinione fosse richiesta; e ora scopre tramite una telefonata che la sua unica figlia, la bella e giovane Yinka, si è uccisa, lontana da casa, senza un apparente motivo.
Il dolore è devastante, e la colpisce come uno tsunami, senza risparmiare nulla sul suo cammino.
Mojisola intraprende così un viaggio, che la porta a Johannesburg, dove la figlia si era trasferita, lasciandosi alle spalle il marito Tidus, in una ricerca non solo fisica per tentare di darsi una spiegazione sulla terribile scelta della figlia, ma anche catartica, che la porta a riflettere su sé stessa e sul rapporto che aveva con Yinka, quella figlia tanto amata ma cresciuta nel silenzio, in un ambiente anaffettivo, lo stesso che Mojisola aveva conosciuto nella propria infanzia e che aveva quindi trasmesso alla figlia, incapace di spezzare le catene di un circolo vizioso destinato solo a portare altro dolore.
La narrazione di Un lutto insolito procede alternando la linea temporale del presente a quella del passato, dove Mojisola riflette sulla propria madre, severa e distante, e sull’ingombrante presenza della zia Modupe, onnipresente nel momento del bisogno, sul marito Tidus, che come lei sembra incapace di comunicare finché ormai non è troppo tardi, e su quella tristezza che entrambi sembrano portarsi dietro come un marchio di fabbrica, trasmessa alla piccola Yinka che con i suoi occhi di bambina già guarda la madre e le confida “sono triste, sempre”.
Non è facile per Mojisola navigare il proprio lutto, e assegnare le colpe: a tratti sembra volersi addossare la responsabilità di tutto, rimproverandosi per non essere stata una madre migliore, altre volte si anima di un astio tremendo nei confronti del marito, che porta la sua sofferenza in silenzio, attraverso un diario che Mojisola non vuole assolutamente leggere. Nel corso del romanzo però scopriamo anche un altro lato del lutto, come Mojisola scopre un altro lato della figlia, così diversa dalla donna che lei conosceva.
Scopriamo come il lutto possa portare alla crescita e all’evoluzione, come anche una donna di mezz’età ferita e rinchiusa in sé stessa dopo una vita trascorsa da spettatrice possa aprirsi a nuove persone e nuove esperienze, che prima non avrebbe mai ritenuto possibili, portandola ad una nuova consapevolezza di sé, che la spinge a fare dei cambiamenti nel modo in cui si relaziona con gli altri, e con lo stesso marito, con cui sembra finalmente riuscire ad avere un dialogo dopo una vita passata a trattenere la lingua.
Un lutto insolito è un libro duro, forte, che non si fa scrupoli a dichiarare come siamo tutti responsabili delle conseguenze delle nostre azioni, visto che nessuno ha una seconda possibilità se non ci si accetta per ciò che siamo, pregi e difetti compresi.
E’ un romanzo che mi ha fatto scendere le lacrime in più di un’occasione, e nonostante tutto è una storia che si apre poi alla speranza, che ci regala un messaggio toccante: il dolore non è la fine di tutto, e dall’altra parte di quel portone così spesso e pesante che ci tappa gli occhi c’è sempre qualcosa che vale la pena andare a cercare.