Il meglio dell’editoria indipendente
In quanto lettori, ci sono libri che prendiamo in mano solo perché attratti dal titolo, che sembra promettere avventure o racconti di un certo tipo, per poi ritrovarci un po’ delusi quando il nesso tra titolo e storia non è evidente o significativo come avevamo sperato.
Nel caso di Istituto di bella morte, romanzo di David Ely (nato David Eli Lilienthal nel 1927), siamo già avvisati dal titolo di cosa ci parlerà il libro, e di certo io non ne sono rimasta delusa.
Il romanzo, inserito nella Box 11 dedicata alla casa editrice Cliquot, viene pubblicato nel 1964 e ha un tale riscontro positivo che ne viene tratto un film nel 1966 dal titolo Seconds (Operazione diabolica in italiano) con protagonista Rock Hudson.
Istituto di bella morte non è la prima opera di Ely, che è un autore piuttosto prolifico di racconti fantascientifici, particolarmente amati negli Stati Uniti degli anni 60 e 70, ma Istituto di bella morte è la prima opera dove l’autore si cimenta con il genere poliziesco, presentandosi ai nostri occhi quasi come un thriller fanta-sociologico, ovvero fantascienza con focus particolare su elementi sociali più che tecnologici.
E già dalle prime pagine è evidente che il mix di generi e l’esecuzione di Ely sono azzeccatissimi.
La storia ci catapulta immediatamente nella New York degli anni 60 di Antiochus Wilson, un direttore di banca di mezza età con alle spalle un’ottima carriera, una moglie che è la perfetta padrona di casa e una vita tutto sommato soddisfacente, in cui può permettersi quel che vuole senza dover penare particolarmente.
Eppure, quando un vecchio amico si fa risentire, il mondo di Wilson improvvisamente si spacca, principalmente per il fatto che quell’amico si è ucciso mesi prima, e gli si presenta una possibilità che gli rode il cervello come un tarlo: quella di cambiare viso e vita completamente, inscenando la propria morte per rinascere poi nei panni di un uomo nuovo, un uomo libero.
Wilson non riesce a resistere alla tentazione, e accetta di inscenare la propria morte assistito da un misterioso istituto, lo stesso a cui si era affidato l’amico, che gli dona un viso nuovo e una nuova identità in uno splendido quartiere esclusivo della California.
L’unico prezzo è che, ovviamente, Wilson rinunci totalmente alla sua vecchia vita, cosa che nel corso del romanzo sembra essere sempre più difficile per il protagonista.
Di per sé, Wilson è appunto il perfetto protagonista per trasmettere a noi lettori ogni singola emozione e dubbio nel suo percorso, ed essendo io stessa portata all’ansia e al rimuginare mi sono sentita come se stessi leggendo la storia di un amico, incapace di abbandonarlo al suo destino ma anche catturata dall’inesorabile svolgersi degli eventi.
L’istituto di bella morte è il secondo protagonista del romanzo: un miracoloso fautore di libertà e rivoluzione personale, che assiste i suoi “rinati” nel processo di inscenare la loro morte e adattamento alla nuova vita, vigilando sulle loro esigenze e sui loro comportamenti, in un modo che non ho potuto non paragonare al Big Brother di Orwell in 1984: una presenza sottile eppure onnipresente, di cui non ci si può assolutamente dimenticare.
Oltre al tema della rinascita e della fuga come libertà, per tutto il romanzo un’altra protagonista che non ho potuto ignorare è l’angoscia di Wilson, che lo accompagna dal momento in cui riceve la fatidica telefonata alla fine del romanzo, un sentimento ben giustificato a mio parere, dato che l’uomo sembra non riuscire a fidarsi completamente dell’istituto che gli sta garantendo una nuova possibilità.
Il ritmo serrato della narrazione e la sensazione di ansia ricorrente mi hanno subito catturata, e ammetto di aver letto il romanzo tutto d’un fiato, come se a posare il libro stessi in qualche modo abbandonando Wilson tutto solo, in balia della sua scelta.
L’aspetto fantascientifico è sottile ma eseguito in maniera molto interessante, tanto da rendere il romanzo un’ottima lettura anche per chi non dovesse essere un grande fan del genere, dato che l’aspetto del thriller/poliziesco è quello predominante.
Il mix di generi è comunque eseguito in modo da regalarci un’opera che fornisce una risposta alla domanda che credo un po’ tutti ci poniamo almeno una volta nella vita: e se un giorno abbandonassi tutto e ricominciassi da un’altra parte, con un altro nome?
Alla fine della lettura, le ansie e i dubbi di Wilson diventano i nostri, mentre lo accompagniamo in un viaggio che mescola luci e ombre, dove lui stesso passa dall’estrema soddisfazione per la sua nuova vita all’inquietante dubbio di aver fatto la cosa giusta.
Leggendo Istituto di bella morte, mi sono sentita come l’unica confidente di Wilson, la sua unica compagna silenziosa in un percorso misterioso, il cui esito finale rivela la maestria di un autore brillante e molto introspettivo, capace di regalarci un romanzo splendido e inquietante, e perché no, anche una critica al nostro atteggiamento nei confronti delle responsabilità che sentiamo di avere verso la nostra vita, e di quello che siamo disposti a fare pur di uscirne indenni.