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Brianna Carafa è una di quelle scrittrici donne del Novecento che meriterebbero di essere inserite in ogni antologia di liceo che si rispetti, al fianco di autrici come Elsa Morante, Sibilla Aleramo e Maria Bellonci, tanto per citarne alcune. E invece, ho conosciuto Brianna Carafa soltanto adesso, tramite la splendida edizione della raccolta di racconti intitolata Gli angeli personali edita da Cliquot, e presente nella Box 11 di Romanzi.it, raccolta resa ancora più preziosa dalla presenza di diversi disegni della stessa autrice.
La stessa storia editoriale de Gli Angeli Personali è di per sé fa presagire lo spirito indomito dei personaggi raccontati: nel 2020, in piena pandemia, una nuova orda di lettori e lettrici hanno iniziato ad appassionarsi a questa scrittrice, il cui nome fino a poco prima dava scarsi risultati persino sull’onnipotente web. E così, Cliquot inizia a lavorare alla ripubblicazione del romanzo La Vita Involontaria del 1975, che all’epoca si era guadagnato un posto come finalista al premio Strega, e un anno dopo arriva “Gli Angeli Personali”, un revival della splendida prosa di una scrittrice che merita tutto il suo clamore.
Brianna Carafa nasce Brianna Carafa D’Andria nel 1924 da una famiglia nobile napoletana, e si spegne nel 1978 lasciando la figlia Fiammetta. Fiammetta, lo stesso nome della madre della Carafa, una figura che con la sua assenza dà forma a svariati racconti, come fosse un buco nero che catalizza su di sè l’attenzione di chiunque ne condivida gli spazi; nei racconti in cui la Carafa racconta frammenti della sua vita, la madre morta giovanissima è il fulcro dell’azione attorno alla quale si trovano ad agire gli altri personaggi, che la scrittrice ci racconta con una voce lucida e attenta, quasi clinica.
Non mi sorprende scoprire che Brianna Carafa di mestiere faceva la psicanalista: una prosa così attenta e al tempo stesso viva e pulsante può originare solo da una mente abituata all’introspezione e alla riflessione continua, risultando così in personaggi che sembrano ritratti fedeli di persone vere e vive, che quasi saltano fuori dalla pagina a ricordarci qualcuno che sicuramente conosciamo nella vita vera.
Lo stile con cui Brianna Carafa ci regala i suoi racconti è incantevole, sobria e classica, un raro esempio di quello stile che non invecchia mai e sembra riportarci all’epoca della stesura del racconto, tenendoci per mano con un tocco delicato e onesto per una Napoli più decadente e romantica.
Questi personaggi così vivi sono però assenti dalle piccole opere d’arte che decorano e integrano la raccolta, come a sottolineare questo senso di vuoto e assenza che permea i primi racconti, quelli appunto che si riferiscono agli “angeli personali” dell’autrice: “Ritratto di straniera”, che ci regala appunto un fedele ritratto dell’amata nonna di Brianna Carafa, “Il Giardino Perduto” e “La Governante”.
Sono piccoli dettagli come questi che mi fanno affezionare ancora di più alla storia dell’autrice, e ritengo di non essere l’unica: infatti Brianna Carafa sta riconquistando adesso la fama che avrebbe meritato anche in vita, dato che all’epoca della pubblicazione i suoi scritti erano passati quasi in sordina.
Tra tutti i racconti è complicato sceglierne uno, puntare il dito e dire “questo è il mio preferito”, ma ogni lettore ha sempre un tema, o una figura, che più delle altre resta impressa durante la lettura.
Per me, in questa raccolta quella figura è sicuramente Elodia, protagonista dell’omonimo racconto, una bambina che si elegge come prima amica dell’autrice al suo arrivo al ginnasio. Elodia è una bambina descritta come “una creatura buia, maleodorante e misteriosa”, che per non farsi mancare nulla è anche vittima delle botte del padre, eppure in pagine di racconto so già che è lei a cui ripenserò più di ogni altro protagonista ritratto.
Forse è merito della prepotenza con cui la Carafa fa emergere questa ragazzina ferale dalle pagine, dandole la dignità di quelle persone che nonostante il tempo passato insieme restano comunque un mistero lontanissimo, forse è la mia propensione ad adottare ogni ragazzina un po’ selvatica e sfortunata che incontro nella letteratura: sta di fatto che in “Elodia”, nel giro di poche pagine, ci viene dipinto un mondo nostalgico, quello della scuola, del cameratismo vissuto quando si è ragazzini e ogni amico ha un suo fascino mistico che vorremmo tanto poter svelare pur non essendo in grado, e del fascino innato che hanno queste persone un po’ innocenti e un po’ volpi già in tenera età.
Altro personaggio un po’ controverso che però mi è rimasto impresso è quello della Governante del racconto omonimo, Fräulein Hilda, con cui la giovane narratrice vive un rapporto ambivalente, vedendo nelle attenzioni della governante prima una salvezza dalla propria solitudine, una tenera consolazione di una ragazza un po’ burbera ad un’orfana un po’ sola, e poi una costrizione, un’imposizione severa dalla quale scappare.
Ammetto che il motivo per cui mi sento così affezionata a Fräulein Hilda è sicuramente il fatto che dal racconto possiamo evincere molte cose del suo carattere, ma al tempo stesso i suoi pensieri più intimi ci rimangono preclusi, senza poter mai arrivare alla confidenza finale che ci farebbe dire “ecco, ecco quindi come sei veramente!”.
I racconti contenuti in Gli Angeli Personali di Brianna Carafa sono un gioiello prezioso trovato in soffitta, nascosto in un baule polveroso, perfettamente in linea con lo stile editoriale di Cliquot, e hanno il gusto nostalgico e sempre nuovo dei classici che più ho amato da bambina, raccontati con lo stile e la sapienza di chi sa che il modo migliore per raccontare la realtà è prendersi tutto il tempo necessario per osservare, capire, interiorizzare, e magari, a volte, rivelare solo quel che basta per lasciare nel lettore quel senso di conforto nostalgico che solo un capolavoro può dare.